L’autore e il lettore, tra realtà e fantasia

L’autore e il lettore, tra realtà e fantasia

di Giuseppe Gallato e Irene Galfo

C’è un interrogativo che da sempre appassiona chi si dedica alla riflessione sull’arte di scrivere. Qual è la relazione tra fantasia e realtà? Da una parte queste due sfere appartengono a dimensioni diverse, antitetiche, libere, mentre dall’altra non smettono mai di ricercarsi, di riflettersi ininterrottamente come in un eterno gioco di specchi. Fantasia e realtà, due facce forse della stessa medaglia che si sfiorano, si sfidano senza sosta, ognuno perseguendo il proprio indipendente moto creativo. Forze che si imitano tra esaltazione e reticenza, dove l’attore umano si racconta, si plasma, si crea attraverso un incessante fluire di percezioni. Attraverso la fantasia e la creatività è possibile immaginare diversità, alterità, pluralità “plastiche”. “L’essere è, il non essere è pure!” e di ciò ringraziamo infinitamente Platone. Pensare al “non essere”, come informe ci aiuta a non cadere nella fallace della sola esistenza dell’essere, all’ideologia della realtà come realtà unica.
Ecco che subentra lo scrittore, il grande medium, al tempo stesso compositore e interprete, ideatore e narratore, regista e attore della sua storia. Colui che non deve solo avere l’ispirazione, ma che deve essere in grado di non sprecarla, di catturarla, di trasferirla sulla pagina, di svilupparla. Colui che deve prendersi cura sia dello stile, del tono, della stesura del testo e sia occuparsi degli avvenimenti, della trama, dell’ambientazione. Colui che deve saper elaborare abilmente le vicende che l’ispirazione porta a scoprire – o a vedere, per dirla alla Rimbaud -, per suscitare emozioni e avvincere l’attenzione del lettore. D’altronde è questo il compito di uno scrittore, rendere manifesti gli stati d’animo umani, stimolare la curiosità del lettore, stabilire con esso una sorta di complicità – e al contempo di sfida – che, nei desideri di entrambi, deve durare sino alla fine.
Una concezione “collaborazionista” tra realtà, fantasia e sogno non può che essere feconda nel mestiere dello scrittore. Egli deve però possedere quella preziosa facoltà di discernimento e dunque la “coscienza vigile” e la “consapevolezza” della separazione, della distinzione tra le dimensioni diverse. Realtà, fantasia e sogno cioè possono intrecciarsi un una “struttura”, ma non sono affatto medesime . Capita che la realtà talvolta “umili “ la fantasia, altre volte accade che la confermi, altre ancora che la superi, capita anche che il sogno trovi corrispondenza nella realtà, nella fantasia oppure che sia vissuto ad occhi aperti per compensazione, o ancora che si sganci come scheggia sia dalla realtà che dalla fantasia, consegnandoci autentiche bizzarrie. La “morbidezza” con la quale si incontrano le dimensioni diverse nei nostri scritti assomiglia se volete a quegli “orologi” di un celeberrimo Dalì che con la sua opera suscitò interesse e scardinò il denigrante pregiudizio di mera follia che pesava sull’opera dei surrealisti. La materia stessa del tempo nella scrittura si dilata, diventa plastica, elastica, assume un’“estensione”, non è “meccanica”. L’artista, il poeta, lo scrittore dà a questo tempo e alla materia la forma che desidera nel momento in cui decide che quell’informe diventi un corpo, un’essenza, una forma appunto.
Il lavoro dello scrittore non è affatto dissimile e consiste proprio in questo: dare forma ad una materia di cui dispone, cioè le parole, esse sono come i colori e il foglio bianco non è altro che la tela. Con queste parole noi possiamo scrivere e riscrivere i sentimenti, possiamo incuriosire, perturbare il nostro lettore.
Noi scrittori abbiamo il compito di stimolare il pensiero, scardinare i luoghi comuni, le banalità. Oppure possiamo consolare. Abbiamo il compito di amare e ri-amare questa costruzione, passo dopo passo.
E, in ultima analisi, mettiamo a volte l’iper-ragione nella caverna buia, non la ragione, e salviamo questa interazione tra realtà e fantasia, scindendo le dimensioni varie con lucidità nella realtà, ma non necessariamente nella scrittura. E se ci capiterà di incontrare qualcuno che ferirà il sogno con sbrigliato cinismo, asserendo con assiomi perentori che “chi fantastica è un infelice”, noi risponderemo: “Perché non provi a sognare anche tu?”.

Giuseppe Gallato

Irene Galfo

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