L’etimologia della parola “Ammatila” e dell’espressione “la mia metà”

L’etimologia della parola “Ammatila” e dell’espressione “la mia metà”

Cari lettori è tornato il nostro appuntamento mensile con l’etimologia. Ci tengo, in primis, a ringraziare coloro che con estrema gentilezza e cortesia mi hanno inviato e-mail di incoraggiamento e promesse di collaborazione. Questa volta vi propongo un termine strettamente siciliano e un modo di dire, invece, tutto italiano destinato ai più romantici tra i lettori. La prima parola è “AMMATILA“ (in altre varianti dialettali AMMATULA). Nel nostro dialetto questo termine è usato spesso come sinonimo di “invano, inutilmente” e in espressioni come ad esempio ”parrari ammatila”. Per la sua origine questa volta ho trovato opinioni discordanti che ovviamente non riporterò tutte. La prima scelgo di proporla esclusivamente per la sua storia curiosa ma, a mio parere, poco affidabile (anche se non è detto che lo sia anche per voi).

Sono in tanti a credere che questo termine, tutto siciliano, derivi dalla parola italiana MATULA.

Che cos’è? La matula, nel Medioevo, era un piccolo recipiente di vetro utilizzato dai medici per contenere le urine dei pazienti. Si narra che i medici medievali non furono, almeno all’inizio, molto abili a utilizzare questo strumento e, nella maggior parte dei casi, le malattie non venivano diagnosticate correttamente e questo portava ad una morte certa dei pazienti. I parenti delle povere vittime, quindi, cominciarono a usare espressioni come “È stato curato a matula o analizzato a matula” quasi ad indicare un’analisi inutile che comunemente portava comunque alla morte. Il motivo per cui non condivido questa tesi che scelgo comunque di proporvi è che la matula in realtà è stata sempre il simbolo di una diagnosi infallibile, raramente sbagliata. Da aggiungere, poi, che il nostro dialetto risulta essere più direttamente influenzato da influssi greci, latini e spagnoli piuttosto che da termini italiani e quindi decisamente più tardivi. Per questo motivo, credo che l’origine del termine, nonostante sia stata riconosciuta più che altro nel greco o nello spagnolo, sia tutta latina e derivi dall’espressione “ad mentula” che indica propriamente l’organo riproduttivo maschile. Una cosa fatta “ad mentula” è una cosa che (meno volgarmente) è fatta “a cavolo”.

Chiusa questa breve analisi passiamo alla seconda, per i più romantici dei lettori. A tutti è capitato di definire la persona amata come “la mia metà, la mia parte mancante, quella che mi completa”.

Perché si usano queste espressioni? Da dove ci arrivano? La risposta la troviamo nel Simposio di Platone, un dialogo ineguagliabile su Eros (Amore), le sue caratteristiche e manifestazioni. I partecipanti a questo dialogo sono grandi esponenti della cultura classica, come Fedro e Socrate, ma quello che a noi interessa è l’intervento di Aristofane sul tema dell’amore. Questo infatti propone durante il banchetto il famoso “mito dell’androgino”.
Ci narra che un tempo non esistevano solo uomini e donne ma anche gli androgini, essere perfetti per metà uomini e per metà donne, con quattro mani, quattro gambe, due volti su un collo perfettamente rotondo, due organi riproduttivi e così via. Avevano otto arti su cui far leva e camminavano e saltavano come acrobati. Erano terribilmente forti e vigorosi e il loro orgoglio era immenso. Così tentarono di scalare il cielo per attaccare gli dei ma Zeus, che era già invidioso della loro forza e perfezione, non poteva accettare un simile umiliazione. Fu per questo motivo che chiese ad Apollo di tagliarli in due per renderli estremamente deboli e , in seguito, guarire le loro ferite e ricomporli come fossero sempre stati un solo essere.

Apollo rispettò la sua richiesta e, dopo aver finito di dividerli, raccoglieva da ogni parte la pelle verso il ventre e faceva un nodo al centro di questo lasciando solo un’apertura, quella che adesso chiamiamo ombelico. Da quel momento ciascuna delle due parti desiderava ricongiungersi all’altra. Si abbracciavano, si stringevano l’un l’altra desiderando di formare di nuovo un solo essere. E così morivano di fame e di sete perché nessuna delle due parti voleva far nulla senza l’altra e quando uno dei due moriva andavano sempre alla ricerca di una metà che gli fosse simile, che gli appartenesse.
Questo giustificherebbe il motivo per cui siamo sempre alla ricerca della nostra metà, di qualcuno che ci completi e ci renda indistruttibili.
Da oggi, quando parlerete della vostra metà conoscerete la triste storia che è celata dietro quest’espressione e, inconsapevolmente, manterrete vivo il ricordo di Platone.
Rinnovo il mio invito a inviare le vostre parole.
Alla prossima!

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A cura di Enrica Odierna
 enrica_odierna92@live.it

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