Il rosolinese Vincenzo Serrentino ultimo prefetto di Zara italiana, fucilato dai titini dopo un processo farsa

Il rosolinese Vincenzo Serrentino ultimo prefetto di Zara italiana, fucilato dai titini dopo un processo farsa

C’è una lapide, in una parete di un’abitazione nobiliare di via Alighieri, che ricorda che in quella casa, al n° 53, nacque a Rosolini Vincenzo Serrentino, ultimo prefetto di Zara italiana. Fu collocata il 16 maggio 1987 a 40 anni dalla morte nel corso di una cerimonia alla presenza dell’allora sindaco Giovanni Giuca, di alcuni familiari e di alcuni amici esuli della Dalmazia arrivati a Rosolini per visitare la città di nascita di quello che loro hanno ritenuto sempre un “grande”, e per collocare la lapide nella casa natia oggi abitata dalla signora Anna Maria Gugliotta moglie del compianto cugino, prof. Vincenzo Serrentino. Per onorare la sua memoria pubblichiamo una parte di un libretto scritto da Mario De Vidovich, quasi un figlio per lui, che traccia il profilo, le vicissitudini e le benemerenze di Vincenzo Serrentino fino alla morte avvenuta per fucilazione per mano dei titini dopo un assurdo processo. G.P.

Dalla natia Sicilia alla Dalmazia

Vincenzo Serrentino nasce a Rosolini (Siracusa) il 19 settembre 1897. Assolti gli studi liceali, si iscrive all’Accademia Militare di Modena, dalla quale esce nel 1916 con il grado di Sotto Tenente di Fanteria in servizio permanente effettivo. Con tale grado, quale Comandante di una Compagna Mitraglieri, partecipa alla prima guerra mondiale, distinguendosi prima nella Battaglia sul Carso con la IIIª Armata e poi con la IIª Armata in quella sul Monte Grappa, dove riporta una ferita da scoppio di granata che gli procura una lesione permanente ad un dito della mano sinistra (il frammento di quella granata egli aveva voluto conservare, tenendolo sempre con sé, esposto sul tavolo di lavoro, quasi come portafortuna, certamente come personale ricordo di guerra).
La Vittoria del IV Novembre lo porta in Dalmazia, con i primi contingenti delle truppe della redenzione. Dopo una prima destinazione nella città di Sebenico, dove rimane sino al 1919, viene trasferito a Zara, destinata a diventare la sua città di adozione.
L’Impresa di Fiume lo vede naturalmente partecipe; così come è partecipe a quel piano comune di difesa dei diritti italiani dell’Adriatico, ideato da Gabriele d’Annunzio in occasione della sua venuta a Zara. Ma è dopo la soluzione dei problemi militari e politici di quel periodo, che la personalità di Vincenzo Serrentino comincia a delinearsi e ad affermarsi nella città, dove nel frattempo, dopo il congedo del servizio militare, si era formata una famiglia sposando una dalmata, la signora Emilia Gluscevich, dalla quale avrà tre figli tuttora viventi.

L’attività in campo sindacale

Nella scelta della sua attività professionale, alla quale dedicare la sua intelligente e volitiva preparazione e nella quale profondere e sviluppare la sua indole generosa e profondamente cristiana, Vincenzo Serrentino, allora, non ha certamente avuto alcun dubbio ed alcuna titubanza. I problemi sociali del dopoguerra, il bisogno di assistenza e di appoggio da parte delle classi più bisognose di attenzione, rappresentate dai lavoratori, il movimento sindacale in fermento ed alla ricerca di una sua giusta collocazione nel nuovo ordinamento statale, non potevano non trovare in lui quell’interessamento e quella convinta dedizione destinati a caratterizzare sin da allora la sua vita.
E Vincenzo Serrentino, così, partecipa alle prime azioni sindacali e da vita a Zara alla prima organizzazione sindacale unitaria che raccoglie e rappresenta tuttti i lavoratori senza distinzione di settore o di attività e che è da lui diretta fino allo sblocco del 1929 che vede creare sul piano nazionale le prime Confederazioni separate ed indipendenti una dall’altra dei lavoratori dell’industria, dell’agricoltura e del commercio.
Forse in quel momento, nella scelta di Vincenzo Serrentino per la guida di uno o di un altro settore sindacale, avranno influito non certo interessi di carattere economico, ma il desiderio e la prospettiva di operare in favore di quelle categorie di lavoratori che, meglio e più delle altre, avrebbero consentito a lui di svolgere nello stesso tempo una attività di carattere sindacale e politico-sociale. È così che egli diventa il Segretario Generale della Unione Lavoratori del Commercio e della Unione Lavoratori dell’Agricoltura, aggiungendo a tale incarico quello di Direttore del locale Patronato Nazionale di Assistenza Sociale. Operando nel settore del commercio, egli poteva così partecipare in prima persona ai vari problemi che interessavano la città e la cittadinanza, mentre l’attività nel settore agricolo gli consentiva di intervenire concretamente per migliorare le condizioni socio-economiche della campagna e contribuire alla elevazione morale e culturale di quella popolazione che gravitava intorno alla città.

L’amico di tutti

Sono cariche, quelle, che egli mantiene ininterrottamente sino al 1939. Anni ed anni di attività sindacale, sociale e politica, creano attorno alla sua figura un alone di viva simpatia, di grande stima, di sincero affetto. Rapporti di cordiale, fraterna amicizia lo legano ad ogni ceto della popolazione.
Amico di tutti, Vincenzo Serrentino ha per tutti una parola affettuosa, un frizzo, un arguto motto di spirito. Di pochi, come di lui, si può affermare che non aveva nemici, che per il suo immenso cuore traboccante di bontà e di altruismo non esistevano barriere. Nel desiderio innato di aiutare tutti, non era capace di rifiutare la sua opera quando veniva richiesta o di negare il suo aiuto, anche quando sapeva che il risultato non poteva essere positivo.
È stato scritto che, dopo quattro lustri trascorsi a Zara, egli era diventato un vero zaratino, che parlava il dialetto, magari con qualche inflessione sicula che gli faceva dire: “sono un siculo-dalmata”.
Nel 1939 Vincenzo Serrentino, quale Ufficiale nei quadri della Milizia Artiglieria C.A. con il grado di 1° Seniore, costituisce ed assume il comando della Difesa Controaerea della città e, attorniandosi di ottimi ufficiali, prepara due Gruppi di Batterie veramente efficienti e ben addestrate, tali da meritarsi elogi e premi, in occasione di tiri collettivi effettuati nelle Marche con Batterie di altri Raggruppamenti.
Lo scoppio della seconda guerra lo vede impegnato in tale incarico nella difesa della città; una difesa svolta ed attuata con serenità e con dedizione da tutti riconosciute e da tutti apprezzate.

La nomina a Prefetto

Ma l’avvento dell’8 settembre segna per la città l’inizio della triste fine. Al caos determinato dall’abbandono delle truppe italiane e dalla successiva occupazione da parte delle truppe tedesche, si aggiunge la grande minaccia della sua cessione ai croati, voluta dai tedeschi per punire gli italiani del loro tradimento. Ed è proprio per prevenire questa mossa ed opporsi a questa drammatica conseguenza che, su pressione dei maggiorenti zaratini, Vincenzo Serrentino viene dal Governo dell’epoca nominato Prefetto della città.
La nomina è del 2 novembre 1943 e coincide tragicamente con il primo disastroso bombardamento attuato sulla città, la cui italianità, salvata dal fermo e coraggioso atteggiamento del Prefetto, viene però dagli alleati punita, su richiesta slava, con i bombardamenti che, susseguitisi uno sull’altro per circa un anno, la ridurranno alla fine ad un cumulo di macerie.

L’ultimo anno di Zara

Quella che è stata l’opera di Vincenzo Serrentino in quel tragico ultimo anno di vita della città, per la sua difesa e per il soccorso alla sua popolazione, sarà oggetto di un capitolo a parte, un capitolo dove la tragedia ed il calvario della città e l’abnegazione del suo ultimo difensore emergeranno nella loro dura realtà. Ma solo quando ogni speranza di salvezza sarà destinata a spegnersi, quando la città ormai semidistrutta e spopolata starà per cedere all’incalzare delle brigate titine, solo allora e solo dietro l’ordine del Governo, Vincenzo Serrentino rinuncerà a lottare. Prima di abbandonare Zara al suo destino, egli farà innalzare sul campanile del Duomo un enorme tricolore, che il 30 ottobre 1944 assiste all’entrata delle truppe titine che occupano la città senza trovare resistenza.
Vincenzo Serrentino si trasferisce a Trieste, dove apre un Ufficio Stralcio della Prefettura e con il quale riesce ancora ad aiutare i propri fratelli di azione, profughi in Patria, con la concessione di modesti sussidi in conto dei danni da loro subiti o per alleviare i disagi del triste esodo.
Avrebbe potuto assumere altri incarichi anche di prestigio, offertigli dalle autorità di Governo; ma egli vuole rimanere al suo posto. Vuole continuare in quell’opera di assistenza, senza la quale gli sarebbe sembrato di tradire la fiducia in lui riposta o di venir meno all’impegno assuntosi.
Rimane perciò a Trieste, dove lo coglie il 1° Maggio del 1945, data della occupazione da parte delle truppe titine lasciate libere nelle loro brame dalla decisione degli alleati rimasti fermi sulle linee del Veneto da loro occupate. Benché sollecitato da amici e da conoscenti, non vuole abbandonare la città, perché pensa di poter ancora essere utile ai suoi concittadini e perché ha la sicura coscienza di non aver commesso nulla che potesse comunque essergli addebitato.

L’arresto, la prigionia e la morte

Viene invece ricercato dagli agenti di Tito e il 5 maggio del 1945 arrestato nella sua abitazione. Da quella data e fino al 31 marzo 1947, egli passa in Jugoslavia da un carcere all’altro, senza che gli venga dato difendersi, senza che colpe alcune, magari ipotetiche, gli siano rinfacciate. Vani e senza risultato i tentativi di salvezza svolti in Italia dalla moglie, dai figli e dagli amici presso le Autorità di Governo, presso i Partiti, perfino presso la Santa Sede.
In una breve nota inviata dal Carcere di Zagabria in data 26 giugno 1946 a chi scrive queste pagine, egli esprimeva la sua angoscia e diceva: “io vivo di speranza: ma vedo che la Pace tarda a concludersi. Forse con la Pace si chiarirà la mia posizione…..”
Ma la sua è una speranza inutile.
Il 31 marzo 1947, dopo una agonia durata due anni, viene in Sebenico improvvisamente celebrato un pseudo processo in seguito al quale, per generiche accuse di collaborazionismo, di aiuti al nemico e di sabotaggio all’azione cosiddetta liberatrice delle truppe titine, il salvatore di tante vite umane viene condannato a morte. Il ricorso in Cassazione, sovente accettato anche per i delinquenti comuni, gli viene negato ed il 5 maggio di quell’anno a Sebenico, la città nella quale aveva messo piede nel 1919, viene eseguita quella dura sentenza che toglieva un uomo alla famiglia ed un italiano alla Patria.
Vincenzo Serrentino fino all’ultimo istante, davanti al plotone di esecuzione, rimane immutabilmente fiero e sereno e al Cappellano, nell’esprimere il suo ultimo desiderio, proferisce queste parole piene di infinito amore per la sua città di adozione: “Desidero che le mie ossa vengano sepolte nel recinto del cimitero militare di Zara fra i miei fanti. Per Zara ho vissuto e soltanto a Zara il mio corpo potrà trovare riposo”.
Il 19 aprile 1947, un mese prima della esecuzione (15-5-1947), aveva redatto il suo testamento spirituale, un documento nel quale traspare la sua luminosa fede cristiana manifestata in tutto il suo operato e dal quale trae nuova luce la sua rinnovata e sempre ardente italianità: eccolo.

Il testamento spirituale

“Oggi ricevo il responso del Vrhovnog Sud (Corte Suprema) di Zagabria che conferma la sentenza.
Nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo chiudo la mia giornata terrena. Avevo sempre desiderato di poter concludere la mia vita serenamente nel bacio della famiglia, fra l’innocente sorriso dei nipotini. Dio ha voluto diversamente. A chi non potei fare del bene chiedo perdono. Io muoio serenamente, senza portare con me rimorsi. Il fatto grave per il quale mi si toglie la vita, non fu da me commesso.
Ho sempre amato il prossimo e per esso ho fatto tutto quanto di buono ho potuto. In questa mia ultima memoria ricordo Riccardo, l’amico mio e suocero di mia figlia Melina, che per me ha fatto moltissimo e mi ha recato aiuto e conforto sino all’ultimo istante. Molti amici sono segnati nel mio cuore, che non era stanco di vivere.
Che il mio Piero porti con orgoglio il nome onorato che il padre gli lascia. Viva da uomo onesto, ami il prossimo e si prodighi per esso. Si rimetta dalla scossa che la mia triste sorte gli ha inflitto.
Ho amato la mia Patria e l’ho servita con amore come soldato e come cittadino. L’amore patrio, però, non mi ha mai fatto dimenticare la correttezza e l’onestà nelle azioni, ne mi ha fatto odiare il resto dell’umanità.
La mia anima pregherà per voi. Così sia”.

Mario De Vidovich

(articolo pubblicato sull’edizione cartacea del Corriere Elorino del 16/28 febbraio 2005)

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